Un mare gravitazionale – Episodio II

Alla fine dello scorso episodio ci siamo lasciati con domande decisamente importanti: è possibile schermare un interferometro dalle onde gravitazionali? Si può isolare una porzione di spaziotempo per poter fare il cosiddetto “fondo” e individuare così il segnale pulito?

Dobbiamo immaginare di voler vedere per la prima volta qualcosa mai visto prima e soprattutto non riproducibile in laboratorio.
Di aver capito quali sono i suoi effetti – nel nostro caso lo “stiracchiamento” dello spaziotempo – ma di non sapere esattamente né quando accadrà né di che intensità sarà e, soprattutto, se sarà proprio il nostro oggetto e non una vibrazione data dal passaggio del camion della spazzatura all’ingresso del laboratorio di Càscina

(NO! Le vibrazioni del terreno sono ben attutite da sistemi molto complicati, non vi ricordate?! Fate un ripassino qui)

Il nostro ormai affezionato interferometro di Michelson è in effetti un oggetto estremamente sensibile,  in grado di percepire variazioni di spostamento con una sensibilità fino a 1022 m.

Come possiamo essere sicuri che il segnale che sta percependo sia proprio un’onda gravitazionale?
Sicuramente non possiamo schermarlo da essa.
CHIARO.
Impedire allo spaziotempo nei pressi della Terra di incresparsi potrebbe essere al più una soluzione tipica di un episodio di Doctor Who.

Tuttavia se vogliamo identificare un fenomeno tramite un rapporto segnale – rumore abbiamo bisogno di provare a stimare il medesimo rumore nel momento in cui siamo certi vi sia esclusivamente lui. 

Ma noi non possiamo essere davvero sicuri che non vi sia segnale, ovvero che non vi sia presenza alcuna di onde gravitazionali!
Non ci resta che seguire un’altra strada e dunque, una volta sottratto il rumore dovuto solo ed esclusivamente alle sistematicità degli strumenti, dovremo agire brutalmente sull’analisi dei dati.

E noi, con un po’ di astuzia, per ridurre notevolmente la mole di lavoro post acquisizione dati, di interferometri sulla Terra non ne abbiamo piazzato solo uno, bensì tre (almeno!) sotto una grande collaborazione internazionale chiamata LIGO-VIRGO, che vede inoltre l’Italia emergere tra i protagonisti.
Semplice, ma geniale! 

Nuova condizione necessaria (ma non sufficiente): affinché un segnale individuato da un interferometro possa essere identificato come onda gravitazionale deve essere dapprima confermato dagli altri due laboratori. Se ci pensate, sarebbe quantomeno bizzarro avere un segnale contemporaneo in tutti e tre gli interferometri dovuto al famoso camioncino della spazzatura, per i più raffinati: un glitch dello strumento.

Inoltre utilizzare più rilevatori ci permette anche di triangolare il segnale e di identificarne l’origine, importantissimo per capire cosa lo abbia generato! 

Torniamo quindi al povero team che si deve occupare dell’analisi dati: la manipolazione dei segnali estratti dagli interferometri è qualcosa di veramente molto complesso e per questo motivo daremo solo un’idea di quali sono i punti cardine sui quali si orienta. 

Bisogna trovare un metodo per discriminare il segnale dal rumore, ma soprattutto è necessario capire quanto siamo disposti ad accettare, a livello di probabilità, di commettere un certo errore sulla nostra stima.

Capiamoci: potremmo dichiarare la presenza di segnale quando questo in realtà è assente, potremmo decidere che vi sia solo rumore quando invece il segnale era lì, ma ben nascosto.
Dobbiamo solo capire qual è la probabilità di commettere uno di questi errori e quindi dare una significatività al nostro segnale.

Tipicamente questo metodo viene chiamato test d’ipotesi, ed è di fondamentale importanza quando si parla di probabilità. 
E la statistica?
I più ferrati in materia avranno capito che è necessario scegliere un qualche approccio per stimare i parametri con i quali descriviamo il segnale derivante da un’onda gravitazionale.

Avete presente la storia della monetina e della probabilità di ottenere testa o croce?
Bene, dimenticatevela!
Qui non abbiamo più una probabilità che deriva dall’esperienza, non possiamo ripetere il nostro lancio infinite volte e in base alla statistica predire che con un 50%  di probabilità uscirà croce.

Dobbiamo cambiare modo di pensare: in base alla teoria vogliamo stimare il numero di volte in cui uscirà testa. Secondo quella che chiameremo statistica bayesiana la probabilità del 50% sul lancio della moneta rappresenta l’incertezza con cui sono in grado di prevedere l’esito del lancio.
BOOM! 

Per questa volta vi risparmio il teorema di Bayes, ma se volete darvi un occhio scoprirete che risulta essere uno strumento molto, molto potente. Grazie a questo signore possiamo non solo avere un buon approccio per qualcosa di non riproducibile in laboratorio, ma soprattutto possiamo di volta in volta incrementare il nostro sapere a priori con l’esperienza. I dati che acquisiamo da ogni segnale con alta significatività costituiranno una nuova base da cui partire, e così via.  

Con questo solido strumento a disposizione non ci resta che provare a capire quale sarà la forma d’onda che ci aspettiamo.
Sì, perché nemmeno questo sappiamo. 

Sebbene la teoria di Einstein ci dica molto sulle onde gravitazionali, e lo capiremo nel prossimo episodio, descrivere esattamente la loro forma non è banale.
Dobbiamo cercare di capire quali sono i parametri che la identificano e con quale livello di confidenza siamo in grado di stimarli.
Ancora una volta, man mano che riusciremo ad osservarne qualcuna, scopriremo un pochino di più a riguardo, e questo ci permetterà di affinare la tecnica per le osservazioni future.


Potete intuire quindi che il macchinario con cui si costruisce l’analisi dati di queste “bestiacce” è davvero ingegnoso ma complesso, ricco di nuove tecniche e cosparso di nuove sfide. 

Per questo la prima osservazione di un’onda gravitazionale, nel 2015, fu un vero successo.
Non  solo ci permise di testare una tecnologia all’avanguardia come quella della collaborazione LIGO-VIRGO, ma ci dette anche la possibilità di creare dei metodi raffinati per l’analisi dati di segnali proveniente dal laboratorio più grande che abbiamo: l’Universo. 

E ora, dulcis in fundo, non ci resta che scoprire che cosa fa scaturire tutto ciò. Chi è così arrogante da smuovere il tessuto spaziotemporale? 

Benedetta Valerio

Fonti

  • http://www.virgo-gw.eu/;
  • Gravitational Waves, vol. 1 – M. Maggiore;
  • www.media.inaf.it;
  • Università degli Studi di Genova – dispense di A. Chincarini.

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