Detriti spaziali e “sindrome di Kessler”: a che punto siamo?
[Credits immagine: ESA]

1957, 4 Ottobre.

Dal cosmodromo di Bajkonur, nell’allora Unione Sovietica, sale un rumore fortissimo: il razzo vettore R-7 (“Semërka”) lancia nello spazio lo Sputnik-1, il primo satellite nella storia dell’Umanità. Ha ufficialmente inizio l’era spaziale.

Il satellite riuscirà a trasmettere il suo segnale, il caratteristico “bip”, per tre settimane ma resterà in orbita, perfettamente inoperoso, fino al 4 gennaio 1958, quando si disgregherà rientrando in atmosfera, dopo aver girato circa 1.400 volte intorno al nostro pianeta.

1969, 23 Maggio.

La missione Apollo 10, la “prova generale” dell’allunaggio che avverrà di lì a poco meno di due mesi, è in pieno svolgimento.

Il modulo lunare “Snoopy” è arrivato fino a circa 15 Km dalla superficie lunare e Tom Stafford ha già pronunciato la storica frase “You can tell the world that we have arrived” (“Potete dire al mondo che siamo arrivati”).

Rientrati nel modulo di comando (chiamato “Charlie Brown”), gli astronauti sono pronti a lasciare al suo destino il LEM. È ancora Stafford a dare il comando e, subito dopo la separazione tra i due moduli, l’astronauta commenta: “Snoop went some place” (“Snoopy è andato da qualche parte”).

Snoopy non verrà (probabilmente!) trovato fino al 2018 e verrà chiamato inizialmente 2018 AV2 in quanto creduto un asteroide. Per sapere se abbiamo davvero trovato il modulo lunare di Apollo 10 dovremo però aspettare il 10 Luglio 2037, quando ci sarà un passaggio ravvicinato di 2018 AV2/Snoopy.

1978, 1° Giugno.

Donald J. Kessler, astrofisico al Johnson Space Center della NASA, è preoccupato dalla quantità e dalla massa di detriti che l’Umanità sta lasciando nello spazio. Assieme ad un altro collega, pubblica l’articolo “Collision frequency of artificial satellites: The creation of a debris belt” (“Frequenza delle collisioni di satelliti artificiali: la creazione di una fascia di detriti”) nel quale predice che, oltrepassato un certo numero di oggetti in orbita, a partire da una collisione “originaria” potrebbe generarsi una sorta di “reazione a catena”, col risultato di creare una porzione di spazio nella quale non è più possibile transitare, senza rischiare ulteriori (e potenzialmente catastrofici) impatti.

2001, 19-21 Marzo.

Alla terza conferenza europea sui detriti spaziali, Kessler e il collega Philip Anz-Meador rilanciano l’allarme, sottolineando l’alto numero (“critico”) di satelliti in orbita bassa terrestre.

2007, 11 Gennaio.

La Cina, tramite un missile ASAT (anti-satellite) distrugge volontariamente il proprio satellite meteorologico Fengyun-1C, generando una nube di circa 2000 frammenti a 800 Km di altezza. Arrivano reazioni di condanna da Stati Uniti e Giappone.

2009, 10 Febbraio.

Si verifica il primo incidente spaziale della storia: un satellite Iridium in attività e un cargo russo non più utilizzato, il Cosmos 2251, si scontrano fra loro quasi perpendicolarmente, mentre viaggiano alla bella velocità di circa 25.000 Km/h, 800 chilometri sopra la Siberia.

Si stima che qualche migliaio di detriti siano stati sparsi in orbita dalla collisione. 

2019, 27 Marzo.

L’India lancia la missione Shakti: anch’essa, dopo Stati Uniti, Russia e Cina, distrugge di proposito -tramite un ASAT- un proprio satellite in orbita bassa, il Microsat-R.

Nuova Delhi afferma di non aver lasciato detriti in orbita e di non voler scatenare una corsa agli armamenti spaziale. Verranno poi rilevati circa 270 frammenti (alcuni grandi solo pochi millimetri) ma da un modello di calcolo, tale numero potrebbe essere di 6.500.

… E adesso? La ISS (Stazione Spaziale Internazionale, per gli amici) corre pericoli? È come in quel film?

Apparentemente, sembrerebbe che abbiamo già matematicamente superato il punto di non ritorno: con circa 23.000 detriti in orbita più grandi di 10 cm, 500.000 particelle di diametro fra 1 e 10 cm e circa 100 milioni di particelle più grandi di un millimetro e solo un migliaio di satelliti attivi, assistere nuovamente a collisioni a catena fra satelliti sarebbe solo questione di tempo.

Adesso però, le linee guida NASA prevedono (fin dal 1995) di prevenire, tramite una progettazione finalizzata allo scopo, la creazione non necessaria di ulteriori detriti orbitali. La “pulizia” dell’orbita dai detriti preesistenti rimane una sfida importante e potrebbe anche diventare un mercato redditizio.

Le linee guida NASA hanno l’obiettivo di non lasciare alcun oggetto in orbita per più di 25 anni dopo la fine di una missione: potrà sembrare banale, ma non lo è: basti pensare che, oltre 1.000 Km di quota, un oggetto è capace di restare in orbita per circa un secolo senza usare ulteriore carburante. Per questo, attualmente al termine di ogni missione in orbita bassa, si effettua quella che viene chiamata “reentry burn”: si esaurisce cioè tutto il carburante a bordo, puntando nel contempo la navicella verso la Terra, in modo da accelerare il rientro in atmosfera e la conseguente disintegrazione del satellite.

Alla luce degli avvertimenti di Kessler e del resto della comunità scientifica, è forse il caso di farsi prendere dal panico e dare per spacciata la cara vecchia ISS? Al momento, no.

La ISS non corre (grossi!) pericoli di sorta: è l’oggetto più corazzato mai lanciato nello spazio. Dispone infatti di una corazzatura in alluminio capace di resistere a impatti dei cosiddetti “micrometeoriti”; al di sotto di essa si trova uno strato ulteriore di ceramica e Kevlar, inframmezzato da vuoto, per proteggere ulteriormente lo scafo.

Inoltre, la ISS è capace di effettuare delle manovre per aumentare o diminuire la propria quota, pertanto è in grado di evitare senza problemi ogni oggetto che può causare seri problemi, vale a dire gli oggetti più grandi di 10 cm di diametro. La costruzione modulare della stazione, poi, può permettere agli astronauti di isolare certi compartimenti, in modo tale da poter continuare a lavorare negli altri e poter eventualmente riparare i danni in un secondo momento.

Marco Cannavacciuolo

Laurea in Economia, master in Giornalismo e comunicazione. Un’insopprimibile curiosità per tutto quel che ci circonda e tanta passione nel divulgare quel poco che sa.Appassionato di spazio sin da piccolissimo, è membro di diverse associazioni che hanno lo scopo di divulgare l’astronautica e l’astronomia. Collabora informalmente come astrofilo allo svolgimento di serate osservative in Liguria.Al bancone del Bar Scienza si occupa principalmente di astronomia, astronautica, missilistica, comportamentismo, economia e marketing, in rigoroso ordine sparso.

Fonti: